Antonio De Viti De Marco, Domenicantonio Fausto – Immagini e report

Il quarto appuntamento del ciclo “I protagonisti della politica meridionalistica tra 1800 e 1900”, tenutosi giovedì 22 ottobre e dedicato alla figura e all’opera di Antonio De Viti De Marco (1858-1943), ha avuto come relatore il professor Domenicantonio Fausto (ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università di Napoli “Federico II”). La conferenza, che ha visto la partecipazione di numerosi studenti dell’Istituto Tecnico “L. Amabile” di Avellino, è stata introdotta da Elio Iannuzzi (professore di Economia e Gestione aziendale presso l’Università di Salerno), che ha presentato i tratti più salienti della biografia e dell’opera del grande economista pugliese.

Il professor Fausto ha articolato la sua ampia e puntuale relazione (dal titolo “L’approccio di Antonio De Viti De Marco alla politica meridionalistica”) in quattro parti, partendo dalla vicenda biografica e intellettuale di Antonio De Viti De Marco. Questi, dopo la laurea in giurisprudenza si indirizzò verso gli studi economici e insegnò Economia Politica e poi Scienza delle Finanze (prima a Pavia, poi a Roma) fino al 1931 quando andò in pensione per non giurare fedeltà al regime fascista. Nel 1890 sul “Giornale degli economisti” si batté a favore del liberismo contro la scelta protezionistica del 1887. Dal 1901 al 1921 fu eletto in Parlamento come deputato radicale e focalizzò i suoi interventi sui problemi economici delle regioni meridionali. Nel 1904, quando venne fondata la Lega antiprotezionista, conobbe Einaudi e Salvemini, con cui collaborò in seguito.

Il secondo punto illustrato dal relatore ha riguardato il pensiero meridionalistico di De Viti De Marco, esaminato soprattutto attraverso un’attenta lettura dei saggi contenuti nel volume Un trentennio di lotte politiche. Nel saggio di apertura, La questione meridionale (1903), De Viti De Marco affrontò il problema dei provvedimenti a favore del Sud relativamente alla politica dei lavori pubblici. Secondo De Viti De Marco la concessione di sussidi avrebbe dovuto tener conto delle diversità fra le varie regioni. Egli riteneva (anticipando le moderne teorie sul capitale umano) che il Sud avrebbe avuto bisogno più che di capitale monetario, di capitale intellettuale, cioè di una seria politica scolastica che fornisse un’adeguata preparazione tecnica agraria, industriale e commerciale. L’agricoltura, poi, andava razionalizzata, ma anche messa in condizione di esportare i suoi prodotti. Da ciò la necessità di eliminare i dazi doganali. “La tariffa doganale del 1887 obbliga indirettamente il Mezzogiorno agricolo a comperare dal Nord gli articoli del suo consumo. È una forma attenuata dell’antico regime coloniale”. Inoltre il protezionismo aveva provocato il decremento della produzione agricola, volta prevalentemente alla granicultura che richiedeva un minore impiego di manodopera, costringendo molti contadini ad emigrare. De Viti De Marco auspicava inoltre un’alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud contro il protezionismo, che, in campo industriale, favoriva imprese improduttive, creando odiosi privilegi.

La terza parte della relazione è stata dedicata ai riflessi del pensiero di De Viti De Marco nel dibattito meridionalistico del suo tempo. Dopo aver ripercorso la polemica, anche aspra, con Napoleone Colajanni, convinto protezionista, il professor Fausto ha evidenziato invece la consonanza con le tesi sostenute sull'”Unità” di Salvemini, di cui De Viti De Marco fu collaboratore. Un altro collaboratore dell’”Unità” fu Giustino Fortunato che giudicava sostanzialmente positivo il processo di unificazione nazionale come occasione per il Sud di uscire dall’isolamento, ma che nel 1904 si avvicinò alle posizioni di De Viti De Marco chiedendo una riduzione delle tariffe doganali. Anche Dorso era d’accordo con la battaglia antiprotezionistica, ma riteneva che sia De Viti De Marco che Fortunato, spinti dal loro pessimismo, finissero per “sperare salute soltanto dall’azione dello stato”. Al contrario, Dorso puntava su un’ampia autonomia politico-amministrativa che avrebbe dovuto far nascere una nuova classe dirigente di intellettuali rivoluzionari. Secondo il professor Fausto “la visione di Dorso appare quantomeno utopistica, perché sembra trascurare che l’élite dovrebbe venir fuori dalla stessa classe sociale già supporto del blocco agrario dominante nel Mezzogiorno”.

Nella parte conclusiva della sua relazione il professor Fausto ha sottolineato l’originalità del pensiero di De Viti De Marco, ma ne ha anche messo in luce limiti e ingenuità. Egli si batté contro il protezionismo perché riteneva generasse uno sviluppo economico distorto e aggravasse lo squilibrio tra Nord e Sud, ma in realtà sopravvalutò la politica liberista anteriore al 1887, che non aveva certo favorito il Sud. Inoltre, come ha sostenuto Rosario Romeo, se è vero che l’industria nacque grazie allo sfruttamento dell’agricoltura meridionale, essa produsse comunque notevoli vantaggi per l’intero Paese.
De Viti De Marco fu il capo spirituale di una piccola minoranza che non riuscì a influenzare la politica italiana. Egli stesso prese atto realisticamente del fallimento politico dell’azione del suo gruppo, e scrisse: “Noi avemmo in comune col fascismo un punto di partenza: la critica e la lotta contro il vecchio regime. La nostra critica, però, intesa a creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del sistema rappresentativo, aveva pur sempre di mira il consolidamento dello stato liberale e democratico. Così il nostro gruppo fu travolto”.

Alla fine della conferenza il professor Fausto ha risposto alle domande dello stesso professor Iannuzzi, di una studentessa, di Pasquale Morella e di Luigi Mainolfi.